Home Educazione Cinofila Quante cose fanno i cani per gli umani

Quante cose fanno i cani per gli umani

Scriviamo continuamente che i cani sono creature veramente straordinarie, qualche tempo fa abbiamo visto che sono anche una medicina per gli umani, che per i bimbi, particolarmente quelli che vivono situazioni difficili, possono diventare un riferimento più forte addirittura dei fratelli e abbiamo visto tante volte che i cani amano lavorare.

Con immensa ammirazione oggi raccontiamo di quelle persone speciali e di quei cani speciali che, in un paese come l’Italia in cui l’ignoranza e l’ostilità nei confronti dei cani sono purtroppo la norma, lavorano insieme per aiutare i bimbi malati. Abbiamo intervistato la Dottoressa Francesca Mugnai, presidente dell’associazione Antropozoa Onlus, massima esperta italiana di Pet Therapy, specialista in terapia assistita con gli animali che da 14 anni lavora con i cani nell’ospedale pediatrico Meyer di Firenze e forma personale sanitario in questa delicata professione.

Gentile Dottoressa Mugnai, grazie infinite per il tempo che ci dedica.

D (Dogdeliver): Ci può dire come i cani aiutano i bambini ricoverati in ospedale?
M (D.ssa Mugnai): Il valore terapeutico dell’affiancamento all’animale nel processo di cura è ampiamente riconosciuto dalla scienza: il cane, o altri animali domestici, possono  apparire come elemento distraente e rassicurante, possono favorire l’intervento del medico ed aumentare il clima di benessere. Spesso le terapie tradizionali, necessarie e di primaria importanza, si trovano a fare i conti con la poca motivazione o interesse del paziente a progredire. L’animale può diventare una “leva motivazionale”, importante particolarmente per un bambino: operare insieme al “cucciolo” significa giocare con lui. È poi compito dello specialista utilizzare questa motivazione per un dettagliato e rigoroso programma educativo e/o riabilitativo. Abbiamo constatato l’efficacia della pet therapy nel periodo dopo l’intervento in dipartimenti come la Neurochirurgia e la Chirurgia, in situazioni nelle quali il bambino che non voleva alzarsi da letto sì è mosso grazie ai cani. Allo stesso modo la pet therapy si rivela quotidianamente preziosa sia in Oncoematologia sia durante le  procedure dolorose o in quelle ad alto tasso di paura quali sono le sedute di odontoiatria. La vicinanza del cane, il suo contatto fisico, hanno una capacità di sintonizzazione che a noi specialisti in pet therapy permette una formidabile piattaforma comunicativa. I cani riescono a sbloccare il bambino in quelle emozioni che l’esperienza in ospedale tende a comprimere. Fanno anche da ‘catalizzatore sociale’: intorno all’animale infatti non si attiva solo il bambino, e cioè il paziente, ma tutta la famiglia e gli operatori sanitari: ognuno di questi attori, in quell’incontro, costruisce qualcosa.
Recenti studi scientifici – riportati nel libro “L’attaccamento agli animali. Una visione integrata della relazione uomo-animale nella pet therapy” (di Turner, Beetz, Julius e altri, edizioni Hogrefe, 2014), edizione italiana a cura di Francesca Mugnai – dimostrano che il legame tra madre e figlio e tra uomo e animale è causato dallo stesso ormone: l’ossitocina. Prodotta naturalmente dall’organismo umano, in particolare durante il parto e l’allattamento, è alla base anche dell’affetto che ci lega ai nostri amici a quattro zampe. Alla base della pet therapy dunque c’è anche un fattore chimico-scientifico, forte come il legame che si crea tra un bambino e la sua mamma .

D: Ci può raccontare e in cosa consiste il programma di Pet Therapy al Meyer di Firenze?
M: Dal 2002 i cani sono parte integrante del protocollo di accoglienza e assistenza dell’AOU Meyer di Firenze, unica esperienza del genere in Italia per durata, sistematicità, inserimento degli animali. Grazie al sostegno economico della Fondazione Meyer, i cani possono entrare ovunque nei dipartimenti di pediatria internistica, chirurgia pediatrica, neuroscienze, area critica, oncologia pediatrica e neonatale e nella rianimazione. Un libero accesso che avviene dopo meticolose pratiche igieniche e con trimestrali controlli veterinari specifici e comportamentali che seguono il “Protocollo organizzativo sulle misure di prevenzione e la trasmissione nosocomiale delle infezioni negli interventi assistiti con gli animali” stilato dall’Aou Meyer, la Direzione Infermieristica insieme ad Antropozoa e che è un esempio per tante altre strutture in tutta Italia e anche all’estero. Recentemente siamo stati contattati da Spagna  e Portogallo.
Gli animali entrano dal portone principale e la loro presenza è sistemica: arriva a tutto l’ospedale. Anche gli operatori e i genitori trovano beneficio nel vederli passare lungo il percorso che viene quotidianamente tracciato dagli infermieri e i medici.

D: Si può dire che il programma di Pet Therapy al Meyer di Firenze è una rincuorante e innovativa anomalia, e speriamo un apripista per tanti altri progetti simili, in Italia?
M: All’AOU Meyer di Firenze l’importanza delle terapie assistite con gli animali è stata recepita precocemente, quando in Italia se ne parlava ancora poco e spesso non nel modo corretto. Esistono altre esperienze, seppur non così sistematiche, in altri grandi ospedali italiani. Ma il Meyer è un precursore in tal senso, con il protocollo organizzativo di cui parlavamo poco fa e anche per il fatto che da due anni in alcuni reparti l’indicazione alla pet therapy viene addirittura inserita in cartella clinica. Questo è un dato importantissimo, rigoroso e inconfutabile. Negli anni abbiamo costruito un modello Meyer-Antropozoa: ogni luogo dell’ospedale ha il ‘suo’ cane d’elezione, un ‘approdo naturale’ a cui si è arrivati integrando le qualità e le potenzialità dell’animale con le caratteristiche del reparto e dei bambini che vi vengono curati. Il protocollo e il modello di lavoro al Meyer ci vengono richiesti da molte strutture sanitarie d’Italia per poter avviare iniziative similari. La speranza, dunque, è che la pet therapy entri in molte di queste in maniera attiva, e soprattutto di sostegno alle cure mediche e al personale.

D: Come sono accolti i cani dai piccoli ricoverati e dai loro genitori? Ci sono bimbi/genitori inizialmente diffidenti che poi ‘scoprono’ la gioia del cane?
M: Con grande entusiasmo, meraviglia, allegria. A volte timore, certo. Dipende dal bambino, dal momento, dalla famiglia, dal contesto. Per questo entriamo sempre in punta di piedi e laddove veniamo chiamati dagli operatori sanitari che ci indicano quale bambino potrebbe aver bisogno di noi. Ogni bimbo ha la sua storia personale e clinica e va rispettato, mai forzato. Ma gli operatori sanitari sanno ormai riconoscere le caratteristiche che possono portare a un beneficio nella presenza del cane. Ognuno dei nostri cuccioli ha delle particolarità fisiche e caratteriali specifiche che vanno tenute sempre in considerazione, per il benessere dell’animale e dell’essere umano con cui si trova a interagire. Non esiste dunque un cane giusto per ogni reparto o ogni patologia, ma viene scelto tra i cuccioli in base al percorso che deve fare in ospedale.  E l’instaurazione di un rapporto positivo, sempre con la mediazione del nostro operatore “umano” specializzato, è quasi sempre assicurata.

D: Quali cani lavorano al progetto di Pet Therapy del Meyer?
M: Sono vari e di razze e specificità fisiche e caratteriali molto diverse. Muffin è uno dei più amati dai bambini: meticcio di barboncino di 6 anni, è un cane molto morbido  e gentile. Si avvicina  con gioia a tutti i più piccoli, ama stare in braccio ed essere coccolato. Anche Polpetta (il protagonista della foto principale 🙂 ) è un meticcio di barboncino di 4 anni, ma molto diverso dal suo “collega” Muffin: è sicuro di sé, ama il contatto con gli altri, in particolare i bambini e strappa sorrisi a tutti, ama le coccole. Il suo difetto maggiore è che appena vede avvicinarsi una mano amica si sdraia in terra a pancia in su per farsi fare i grattini ed è difficile farlo rialzare. Lo sanno bene gli operatori  e i bambini del Meyer 🙂 . C’è Galileo, un flat (flat coated retriever) di quasi due anni che da subito ha manifestato una predisposizione al contatto con gli esseri umani, in particolare i bambini. E’ molto curioso, empatico, estremamente elegante e buffo allo stesso tempo. Sono solo alcuni dei cani che lavorano o hanno lavorato al Meyer. Non tutti i nostri animali della pet therapy vi possono entrare, ma li selezionamo tra i cuccioli della nostra fattoria, proprio per le loro caratteristiche comportamentali.

D: Quando i bambini escono dall’ospedale prosegue in qualche modo il rapporto con il cane che hanno conosciuto durante il ricovero?
M: Se lo desiderano sì. Ci possono chiedere chi siamo e contattarci fuori dall’ospedale, nella fattoria terapeutica Antropozoa a Castelfranco di Sopra (AR) nel Valdarno dove abbiamo 40 animali: oltre a circa 20 cani, la pet therapy viene praticata ad esempio anche tramite asinelli, cavalli. I bambini restano molto affezionati ai nostri animali e spesso, anche ad anni di distanza, incrociandoci nei corridoi del Meyer dove magari sono a fare una visita di controllo, ci fermano per ricordarci qualche episodio vissuto insieme durante la loro degenza.

D: Ci sono famiglie che avendo fatto l’esperienza della pet therapy in ospedale quando escono prendono un cane?
M: Sì, sia per richiesta da parte dei bambini, sia per volontà dei genitori che capiscono quanto la presenza di un animale possa essere importante per tutta la famiglia. A chi ce li chiede, diamo volentieri consigli. Ma sempre ricordando che prima di adottare un cane, bisogna valutare bene questa scelta, sia in base alle abitudini familiari che agli spazi delle nostre case. Non si tratta di peluche, ma di esseri viventi che vanno nutriti, lavati, coccolati e sopratutto pensati nei loro bisogni emotivi e mentali. Un cane che entra in casa è un membro della famiglia a tutti gli effetti e come tale va trattato, con rispetto e cura. Se non si hanno le caratteristiche necessarie per adottarlo, meglio andare a trovare periodicamente i cani di qualche amico o in strutture attrezzate.

D: Alcuni bimbi ricoverati hanno già un amico cane a casa. Il progetto di Pet Therapy prevede la possibilità di ‘visite a quattrozampe’?
M: Insieme ai vertici dell’AOU Meyer, stiamo studiando proprio come permettere la visita da parte dei cani ai loro proprietari ricoverati in ospedale. La Regione Toscana ha pubblicato un’apposita delibera (la numero 1233/2014 “Linee d’indirizzo per l’accesso degli animali d’affezione in visita a degenti presso Strutture sanitarie e ospedaliere pubbliche e private accreditate”) proprio per stabilire le modalità di accesso di cani “esterni” in corsia. Si tratta di un argomento molto delicato per il quale vanno definite regole chiare. Gli operatori sanitari vanno formati per la conduzione e gestione sicura dal punto di vista igienico-sanitario e comportamentale delle visite dei cani, una formazione che prevede la conoscenza di normative, igiene, conduzione, aspetti etici, ma anche abilità manuali tecniche o pratiche, aspetti psicologici e comportamentali, miglioramento delle capacità relazionali, comunicative e organizzative. Gli animali poi dovranno rispettare delle regole igienico-sanitarie molto specifiche. L’obiettivo è ambizioso e per raggiungerlo dobbiamo lavorare molto seriamente. Ma ci siamo quasi.

D: Il cane lavora da solo o è accompagnato da un umano? Se accompagnato, ci può dire quale è il ruolo dell’umano?
M: Il cane è sempre obbligatoriamente accompagnato dal suo operatore umano. Diventare specialisti nell’attività e terapia con gli animali e specializzarsi nella pet therapy,  è un lavoro molto richiesto in tutta Italia, ma richiede una formazione di alto livello con la combinazione di varie discipline, che permette di unire la propria passione per gli animali e per l’essere umano. L’interazione tra uomini e amici a quattro zampe, mediata da un operatore specializzato, permette di ridurre lo stress, migliorare le capacità attenzionali e di apprendimento, stimolare la comunicazione verbale, emotiva e corporea, incrementare la qualità della vita. La figura umana e il suo rapporto con il cane sono fondamentali in tal senso. Come Antropozoa organizziamo corsi triennali di alta specializzazione di 800 ore concentrate nei fine settimana. Abbiamo richieste da tutta Italia e non solo. Richiesta una laurea in materie sanitarie, psicologiche, sociologiche, tanta motivazione e un grande amore per i cani e per gli esseri umani. Solo così si può diventare esperti in pet therapy.

Chiudiamo con una gallery di bellissime foto dei protagonisti del lavoro di Antropozoa

Grazie infinite

Condividi

Lauretana

La mamma umana di Oban, autrice di Senti chi Abbaia, ama la montagna, leggere e scrivere, ha un debole per la mozzarella. Pensa che i cani siano creature straordinarie e la vita con loro un'esperienza oltre l'immaginabile che, incredibile ma vero, si scopre nella sua straordinarietà ogni giorno, anche dopo tanti anni con il cane.

Back to top
error: Content is protected !!