L’obiettivo di questo sito è raccontare aspetti più e meno noti dei cani così da approfondire la conoscenza dei nostri pelosi, farli vivere nel modo migliore possibile e permettere allo straordinario potenziale della relazione umano-canina di svilupparsi nella sua pienezza.
Per farlo, studiamo la letteratura disponibile, parliamo con la super Cinzia Stefanini, chiediamo informazioni e chiarimenti a ricercatori e in alcuni casi proponiamo interviste, tutto questo a persone che lavorano ovunque nel mondo.
Gli italiani che negli studi scientifici sui cani sono molto avanzati e che quindi potrebbero contribuire in modo importante alla conoscenza collettiva sui pelosi riescono comunque a distinguersi negativamente anche in questo rispetto agli stranieri. Con alcune eccezioni (SIOV, Barbara Bellomo, Chiara Chiandetti, Claudia Fugazza, Chiara Mariti e Roberta Pozzi che ringrazio vivamente), infatti, la norma è non rispondere proprio alle richieste di intervista o in alternativa dirsi disponibili, farsi mandare le domande e poi non rispondere. Da notare che da Milano a Napoli, passando per Pisa, Parma e altre università, gli italiani che se la tirano così non sono nemmeno lontanamente al livello degli stranieri che rispondono – uno tra tanti, James Serpell grazie al cui aiuto abbiamo potuto scrivere sull’amicizia tra i cani.
Tutto questo mi è venuto in mente mentre ragionavo sull’argomento di oggi.
Qualche tempo fa volevo fare una intervista sulle malattie psicosomatiche dei cani e quello a cui mi sono rivolta (su indicazione della sua responsabile, oltretutto) prima mi ha risposto che non bisogna antropomorfizzare i cani poi che certo sì era disponibile per l’intervista e dopo essersi fatto mandare le domande è scomparso.
A posteriori, visto il suo commento, ci ha fatto un favore.
Nel caso specifico dell’argomento che mi interessava perchè è un dato di fatto che nei cani, proprio come negli umani, ci sono legami tra fattori psicologici e fattori fisiologici nell’origine e/o nel mantenimento delle malattie (ad esempio lo stress che si manifesta con sfoghi alla pelle o la frequente associazione tra grande sensibilità e colite) per cui non ci si può fidare di uno, oltretutto veterinario, che in nome della non antropomorfizzazione nega che i cani possano soffrire di malattie psicosomatiche.
Il favore più grande però lo ha fatto perchè con il suo commento ha alzato una palla bellissima da schiacciare nella sua parte di campo e di tutti quelli che la pensano come lui (metafora pallavolistica).
Il punto è l’antropomorfizzazione dei cani e la chiave di lettura la da Marc Bekoff.
Il grande professore etologo e biologo spiega che usare termini umani per parlare dei cani (e degli altri animali in generale) permette agli umani di superare i limiti del nostro linguaggio e di avvicinarsi così maggiormente ai cani e migliorarne la conoscenza. Il che non vuol dire sostenere che i cani sono come gli umani, ossia antropomorfizzarli.
Detta altrimenti, parlare di, ad esempio, tristezza o felicità dei cani permette agli umani di riconoscere ed esplorare le emozioni dei cani ma non equivale a sostenere che i cani sono tristi e felici nello stesso modo degli umani. Magari lo sono, magari no, quello che conta è sapere che provano emozioni e quali tipi. Così è per la tristezza e la felicità e così è per tante altre emozioni, sentimenti e stati d’animo che è scientificamente provato non essere esclusive degli umani.
Meglio, sotto tutti i punti di vista, uno che nega che i cani sentono il dolore – fisico e psicologico – perchè quel termine definisce sensazioni che hanno gli umani (con tutte le implicazioni drammatiche che questo comporta per come sono trattati i cani) o uno che riconosce la ricchezza sentimentale ed emotiva dei cani anche se così facendo corre il rischio di avvicinarla a quella umana? Io mi sento di dire, tutta la vita il secondo.
Detto questo, è importante ricordareche i cani non sono umani. Le loro esigenze e il loro modo di essere sono comparabili a quelli umani per ricchezza e complessità ma non sono necessariamente uguali e rispettare i cani vuol dire riconoscere la loro natura, nella loro ricchezza e complessità, con tratti a volte coincidenti con quelli umani (ad esempio il legame che si forma tra cani e proprietari che è come quello tra figli e genitori) e volte dello stesso genere ma con declinazione canina (ad esempio, possibilmente, l’imbarazzo) e a volte specificamente canini.
Certo è che chi sostiene che i cani non provano sentimenti, emozioni e stati d’animo e tutto ciò che ne è correlato (vd le malattie psicosomatiche) perchè se no vuol dire sostenere che sono umani non fa un favore a nessuno.